Cultura
Marco Masini, Enrico Brignano e molto altro ancora: che estate a Capannori con “Ma la notte sì”
L’ ‘Estate Capannorese’ si apre con la ormai affermata manifestazione “...Ma la notte si’!” promossa dal Comune e organizzata da LEG Live Emotion Group con il contributo della…

Sergio Rubini, Carlo Freccero e tanti altri: che cast per il Festival della Sintesi
“Mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve”: questo celebre aforisma di Blaise Pascal – che evidenzia l’attenzione necessaria…

Nasce il Festival Note all'Infinito: 16 concerti serali immersi nel verde del parco fluviale
È stato presentato questa mattina sul palco del Parco dell'Infinito – all'interno del Parco Fluviale del Serchio - il nuovo

Premio Mario Tobino per le scuole: giornata di festa per i vincitori
Venerdì 6 giugno, nell'auditorium della biblioteca Agorà di Lucca, si è svolta la cerimonia del 19° premio Mario Tobino per le scuole. Erano presenti Francesca Pacini - vice presidente…

'Amor che ne la mente mi ragiona': un viaggio musicale attraverso i Giubilei della storia
Sabato (7 giugno) alle 18, nel Salone arcivescovile di Lucca, la Sagra musicale lucchese propone al pubblico Amor che ne la mente mi ragiona, un concerto che attraversa…

I Misteri di via dell'Anima: il giallo di Nanni Delbecchi alla Società dei Lettori
I Misteri di via dell'Anima: il giallo di Nanni Delbecchi alla Società dei Lettori per l'assegnazione del Premio dei Lettori Lucca-Roma 2025. Appuntamento il 18 giugno a Villa Rossi (Gattaiola, Lucca). Presenta Marco Ciaurro

Lucca Teatro Festival, quasi 30 appuntamenti da giugno ad agosto: si parte con Topo Gigio
Torna in versione estiva per il sesto anno, dal 28 giugno…

Si presenta il libro di Umberto Sereni dedicato a Piero Del Frate
Si presenta mercoledì 4 giugno nell’Auditorium San Micheletto (ore 17.30), il volume “Alla Ricerca dell’Eden. Arte e cultura nelle terre di Lucchesia fra Otto e Novecento”, in…

La basilica di San Paolino entra nel progetto Ri – conoscere le Mura: visite gratuite da giugno a settembre
Prosegue il percorso di valorizzazione delle Mura di Lucca con un nuovo, significativo passo: la basilica dei Santi Paolino e Donato da venerdì 13 giugno entra ufficialmente a…

La scuola primaria Martini e il progetto Iosonoambiente in 5 lingue
E' stato presentato il 29 maggio il progetto #iosonoambiente realizzato dalla scuola primaria F. Martini (istituto comprensivo Giacomo Puccini di Lucca). Il progetto è legato al bando specifico…

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Senza dubbio, la sola menzione dell'unificazione dell'Italia nel XIX secolo evoca la figura di Giuseppe Garibaldi, il soldato-patriota che ha fatto tanto per l'unità della sua patria.
Inizialmente i suoi sforzi non ebbero successo - la Repubblica Romana del 1848 ne è un esempio - ma il suo grande successo in Sicilia e nell'Italia meridionale con i suoi leggendari Mille aprì la strada alla loro incorporazione nel Regno d'Italia nel 1861.Tre anni dopo, all'età di 57 anni, Garibaldi arrivò a Malta per una visita di due giorni, quando era all'apice della sua fama. Arrivò il 23 marzo 1864 approdando nel porto di Marsamxett a bordo del battello a pale Valletta della P&O Lines. A bordo c'erano Giuseppe Garibaldi e i suoi due figli, Menotti e Riciotti, che si erano imbarcati due giorni prima dall'isola di Caprera per andare in Inghilterra. Garibaldi prese alloggio all'Imperial Hotel di La Valletta. Ad accoglierlo nel porto dell'isola del centro del Mediterraneo c'era la baronessa Testaferrata Abela, una nobildonna maltese che voleva dare il benvenuto al generale a nome di tutti i maltesi. Pare che il messaggio di saluto con cui la baronessa si presentò fosse firmato da qualche centinaio di maltesi, ma l'arrivo dell'eroe dei due mondi suscitò a Malta sentimenti controversi, e non necessariamente di grande e positiva accoglienza.
Dai resoconti della stampa maltese - tra cui The Malta Times e United Services Gazette del 14 marzo 1864, L'Ordine del 1° aprile 1864, Il Mediterraneo del 26 marzo 1864 e Il Portafoglio Maltese del 26 marzo 1864 - si ha l'impressione che Garibaldi e i suoi figli abbiano ricevuto un'accoglienza contrastante. I commenti della stampa variano da "illustre viaggiatore", "eroe e patriota italiano e il più illustre difensore della libertà in Europa", "il nobile generale", "uomo onesto e buono", "la fonte di tutto ciò che è nobile e generoso - un leone italiano" e "l'eroe italiano" da un lato, a epiteti completamente opposti, che comprendevano "un avventuriero", "nemico del papato, della Chiesa e del di lei Vicario, e quindi imicissimo ai Maltesi, essendo questi un popolo eminentemente cattolico", e "il masnadiere". In realtà, dopo l'unificazione italiana nel 1861, quasi tutti i rifugiati liberali a Malta partirono per tornare in patria. Tuttavia, il loro posto fu preso dai loro avversari, principalmente siciliani aderenti alla spodestata famiglia regnante dei Borbone. Si stima che, nel 1864, circa 200 di questi rifugiati vivessero a Malta e fu questo elemento a fornire la principale opposizione. Essi erano sostenuti dall'opinione ultra-cattolica che considerava Garibaldi l'arcinemico del Papa, poiché quest'ultimo era stato privato di quasi tutto il suo potere temporale. Tuttavia, nel complesso, la visita inaspettata di Garibaldi fu accettata dalla maggior parte della popolazione locale - quella che si interessava di politica, naturalmente - e fu ben accolta dai liberali maltesi e dalla guarnigione e dai residenti inglesi. Questo spaccato rappresenta un'importante testimonianza per darci un quadro di quel controverso arrivo di Garibaldi a Malta, tappa intermedia prima di raggiungere Londra. Queste alcune delle cifre che saranno oggetto di analisi da parte di Elena Pierotti, studiosa dell'Italia risorgimentale. Tenuto conto dei protocolli di sicurezza anti-contagio e dei risultati altalenanti della pandemia di COVID 19 e nel rispetto delle norme del DPCM del 24 ottobre 2020 la conversazione sarà disponibile, sulle varie piattaforme Social Network presenti nella rete, a far data da venerdì 12 agosto.
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Fuori, un tempo da lupi: lampi, fulmini, saette. Una copiosa acqua piovana si riversa a terra rendendo le strade impraticabili e dal cielo qualche chicco di grandine scende a rinfrescare l'asfissiante aria del giorno.
Nel pieno di uno spaventoso - ma provvidenziale - acquazzone estivo, un fradicio cronista, accompagnato da un eroico fotografo, fa il suo ingresso nell'albergo-ristorante "La Lanterna" di Castelnuovo dove, al sicuro di un elegante salotto, ha trovato rifugio Mimmo Cuticchio: oprante, contastorie e puparo siciliano di fama internazionale.
Il maestro si trova lì, seduto su un divanetto, in disparte. È silenzioso, come assorto nei suoi pensieri. Cronista e fotografo provano ad avvicinarsi con discrezione, a piccoli passi, quasi intimoriti di interrompere un momento di profonda riflessione. Sulle prime un po' chiuso, man mano che l'intervista procede, sembra aprirsi di pari passo col sole che, al di là dalle finestre, si fa piano piano spazio tra le nuvole scure...
In attesa dello spettacolo su La pazzia di Orlando - spostato, all'ultimo minuto, dalla piazzetta Ariosto al teatro Alfieri - ecco un piccolo resoconto della piacevole chiacchierata avvenuta nel contesto della giornata dedicata al poeta emiliano in cartellone per il festival Mont'Alfonso sotto le stelle.
Maestro, è la prima volta che viene in Garfagnana?
"Conoscevo qualcosa di questa terra dalla letteratura, ma non ero mai stato qui".
Certo, il suo arrivo ha coinciso con un sinistro temporale; ma qual è stata la sua prima impressione?
"È sempre una bella sorpresa arrivare in luoghi come questo che, in qualche modo, fanno da sfondo ai racconti delle varie chanson de geste".
Alla chanson de geste si rifà anche l'Orlando Furioso. Perché ha scelto di rappresentare proprio questo titolo?
"Perché è un viaggio, è fantasioso. La cosa interessante, poi, è che Ariosto, nel poema, narra sì del mondo cavalleresco, ma in realtà parla di noi oggi. L'autore sembra dirci, tra le righe, che l'uomo, invece di combattere e conquistare, si dovrebbe spogliare delle proprie armi e abbandonare all'unica vera follia che è quella dell'amore".
Tutti noi abbiamo conosciuto - e, nella maggioranza dei casi, odiato - questo testo di Ludovico Ariosto sui banchi di scuola. Lei come consiglierebbe di approcciarlo?
"Probabilmente come cerco di fare io con i ragazzi: ovvero raccontandoglielo come se fosse una storia ancora viva. Come fare? Cercando di farli immedesimare nelle storie calandole nella loro quotidianità".
Nello specifico, il suo spettacolo si concentra su un episodio del poema: il viaggio di Astolfo sulla luna. Cosa c'è che la affascina in questo passaggio?
"Il fatto che è molto profondo e simbolico: il senno perso dagli uomini sulla terra è reso nel testo sotto forma di 'bolle d'aria' sulla luna. Giovanni, l'evangelista, appare nelle vesti della 'ragione' che Astolfo non può fare a meno di assecondare. Oggi, con le guerre in corso, credo che il 'dialogo' possa far recuperare il senno agli uomini".
Crede che questa opera possa essere oggi raccontata ai giovani con un linguaggio più 'moderno'?
"Certamente il fumetto e il fantasy - con l'ironia, il gioco, la bellezza - possono essere nuove forme letterarie accattivanti per rendere l'Orlando Furioso. Un adattamento sul grande schermo? Anche, ma bisogna stare attenti".
Mimmo Cuticchio: maestro, attore, regista... Lei come si definisce?
"Oprante, perché opero nel teatro - cosiddetto - d'opra; ma sono anche puparo, perché costruisco i pupi; infine, sono l'unico contastorie".
Che differenza c'è, scusi, tra contastorie e cantastorie?
"L'antropologo ed etnologo palermitano, Giuseppe Pitré, spiegava che: i 'contastorie' erano coloro che raccontavano le storie cavalleresche, senza usare alcuno strumento musicale, ma avendo in mano solamente una simbolica spada di legno; i 'cantastorie', invece, erano più cronisti di attualità".
Insomma, ci par di capire che il suo può essere definito un lavoro intellettuale e artigianale allo stesso tempo...
"Assolutamente. Mi piace il modo in cui, nel medioevo, chiamavano gli artisti: "artigiani", appunto. Penso che artigianale stia per contemporaneo".
Come ha imparato la sua arte?
"L'ho 'rubata', come si soleva dire un tempo. Un po' da mio padre, Giacomo, e un po' dal mio maestro, Giuseppe Celano. Da loro ho carpito le tecniche, ma senza frequentare alcuna scuola, perché non erano questi mestieri per i quali si potevano fare corsi o laboratori. A forza di guardare, si apprendeva".
Una curiosità: è vero che è apparso nella trilogia de Il Padrino di Francis Ford Coppola?
"Sì, nel terzo. Una piccola apparizione nella scena in cui i protagonisti, Al Pacino e Diane Keaton, vanno in questo paesino, dove ci sono un matrimonio, una banda musicale e, appunto, un narratore dei pupi".
E come è nata questa collaborazione?
"Coppola stava girando a Palermo, al teatro Massimo, e, durante le pause, veniva a passeggiare lungo la strada. Un giorno, trovandomi io proprio lì di fronte, mi vide lavorare. Lo vidi affacciato e allora gli dissi di entrare. Lui stette qualche mese nel capoluogo siciliano e, puntualmente, ogni giorno mi veniva a trovare. A un certo punto mi disse: "Mi piacerebbe inserire nel film la Baronessa di Carini. La conosci?" al ché gli risposi: "Sì, certo che la conosco". Ne abbiamo quindi parlato e, con lui stesso, abbiamo scelto i tre pupi che dovevano fare i personaggi principali. Quindi abbiamo lavorato una giornata insieme in un piccolo paesino che si chiama Forza d'Agro".
Com'è stato lavorare con un regista del suo calibro?
"È stato bello, divertente. Lui era come un bambino quel giorno. Nella scena racconto della morte della baronessa di Carini, poi arrivano Al Pacino e la Keaton e lei, pressappoco, gli dice: "Ah, così risolvete i problemi in Sicilia?" (cioè, uccidendo la figlia) e lui le risponde: "Non ti dimenticare che sono storie di pupi..."
Ha mai accettato parti più importanti sul grande schermo?
"Ho fatto l'attore solo in un film: Terraferma, di Emanuele Crialese. L'ho fatto perché il tema era talmente importante che non mi andava di rifiutare. Nella pellicola vesto i panni di un pescatore".
Un'ultima domanda: qual è il suo rapporto con il cinema?
"Avrei potuto fare molte più cose di quelle che ho fatto. Di solito sfuggo. Mi piace il cinema, ma penso sia un altro mestiere. Mi potete vedere, per esempio, nel film Baarìa, di Giuseppe Tornatore, in cui io racconto il film muto Cabiria del 1914 con le didascalie di D'Annunzio. Nella scena c'è un ragazzo che litiga con me e mi dà un morso nell'orecchio dentro una sala cinematografica. Perché ho fatto questo? Perché il regista voleva che apparissi proprio in veste di contastorie e, quindi, non gli ho potuto dire di no".
Foto di Tommaso Teora
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