Anno XI 
Martedì 9 Settembre 2025

Scritto da giancarlo affatato
Politica
19 Maggio 2025

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Fu Benito Mussolini, nel 1937, all'atto dell'inaugurazione degli studios di Cinecittà, a definire la filmografia come la "più potente delle armi". Ovviamente il dittatore, presago e lungimirante, da buon giornalista qual era, immaginava di utilizzare quell'arma come strumento di propaganda esaltando la realizzazione delle opere del regime, rinfocolando il sentimento nazionale ed esaltando l'impero tornato sui Colli Fatali. Negli anni a venire furono molti i film storici che richiamavano l'epopea dell'Urbe. Altri ancora avvincevano gli Italiani con storie romantiche: chi non ricorda i "telefoni bianchi" che venivano utilizzati (anche) come strumento di...distrazione di massa? Sia come sia, la filmografia tricolore conobbe l'apice del successo internazionale con il filone del cosiddetto "Neorealismo", grazie alle pellicole firmate da registi del calibro di Rossellini, De Sica e Visconti. Vennero poi i film di denuncia sociale e quelli "politicizzati", con registi di chiara impronta ideologica, cresciuti ed allevati nella scuola del partito comunista, il movimento che più di tutti aveva saputo esercitare una vera e propria egemonia di stampo culturale. Basterebbe (ri)guardare il film sulla morte di Togliatti in cui si ritraggono scrittori, poeti ed intellettuali mentre si alternano a vegliare il feretro del "Migliore", per rendersene conto. Peccato che tutti quei registi, che pure avevano denunciato i mali del nazifascismo ed il conformismo di potere dei democristiani, non ebbero mai l'ispirazione oppure la curiosità di guardare oltre quella cortina di ferro che divideva l'Occidente libero dal blocco sovietico. All'opposto, molti di quegli " pseudo rivoluzionari " continuarono ad operare a senso unico in ossequioso silenzio verso le nefandezze tragiche e liberticide perpetrate nella patria del socialismo reale. Seppero tacere anche quando i carri armati dell'Armata Rossa invasero e schiacciarono le primavere libertarie in Ungheria e Cecoslovacchia. Viceversa molti loro "capolavori" inneggiarono alle insurrezioni comuniste nel Sud Est asiatico, deprecando come crimini l'intervento dei marines americani e non invece quelli fomentati dai cinesi in Indocina, come Corea, Vietnam del Nord e Cambogia. Insomma: per grandi linee la Storia ci racconta come "l'arma più potente" del cinema sia stata ben utilizzata anche in Italia da un gruppo di registi organici alla sinistra i quali però non hanno mai voluto sottrarsi allo strabismo ed al doppio metro morale che ha sempre connotato gli intellettuali e gli artisti della "gauche" nostrana. Gente con la puzza sotto il naso che, in cachemire, ha affollato i salotti dell'alta società radical chic per intenderci. Ma doveva ancora venire il peggio in questo ramo dell'arte, ossia il finanziamento pubblico delle opere cinematografiche: una sorta di reddito di cittadinanza per la celluloide ed i registi naïf e, sotto sotto, per quelli ovviamente appartenenti alla solita area politica. Non saprei dire quanti siano i contribuenti che sono a conoscenza dell'uso del proprio denaro per sostenere film "originali" e pellicole d'essai (di prova) firmate da sconosciuti registi ed attori, oppure dai compagni di merenda. A loro andrebbe ricordato che la stragrande maggioranza di quei "prodotti", pur finanziati profumatamente, non riesce neanche a raggiungere la proiezione nelle sale cinematografiche e laddove ci riescano, restano pressoché ignorati dal pubblico. Questo lo sa bene anche quel Valter Veltroni che, dismessi i panni del politico, ha indossato quelli del cineasta e del critico cinematografico, così come tanti altri noti attori le cui opere vengono rappresentate solo grazie ai sussidi economici elargiti dallo Stato, a dispetto dei botteghini e delle platee deserte. Ora, il fenomeno è tornato improvvisamente alla ribalta durante la cerimonia dei David di Donatello 2025 trasformatasi da festa del cinema italiano a palcoscenico di tensioni e polemiche politico-istituzionali. Una vera e propria querelle che, via via, si è esacerbata fino a sfociare in una lettera degli artisti nella quale si è chiesto un incontro al governo per discutere del futuro dell'industria cinematografica italiana. In soldoni, si è invocato un nuovo assetto per i crediti e le elargizioni loro dovute (sic!). Che dire? La "cultura" batte cassa ancorché denunci il "regime". Ed allora  tra gli artisti e gli accattoni pare non ci sia che un breve passo.

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