Politica
Roberto Vannacci a Lucca illustra i suoi “nuovi orizzonti della sicurezza sociale”
Siamo a Lucca, in una tranquilla giornata estiva, nei magnifici locali de “la Cannoniera” dove si iniziano a sparare colpi, ma non quelli reali delle guerre in corso,…

Colonnine per ricaricare le auto elettriche, Fratelli d'Italia attacca il sindaco di Capannori
"Il territorio di Capannori si doterà di 29 colonnine di ricarica per auto elettriche", parole risalenti al maggio 2023 dell'allora assessore alla mobilità e adesso sindaco, Giordano Del…

Turismo, il 17 ottobre la seconda edizione degli Stati Generali: un confronto aperto sul presente e sul futuro del settore
L'amministrazione comunale di Lucca annuncia la seconda edizione degli Stati Generali del Turismo, che si terranno venerdì 17 ottobre 2025, dalle ore 10 alle ore 17, presso l'Auditorium…

Morte di Marco Chiari, il cordoglio del sindaco
Appena appreso della scomparsa di Marco Chiari, anche il sindaco Mario Pardini ha voluto manifestare il proprio cordoglio: "Esprimo profondo cordoglio per la scomparsa di Marco Chiari, un…

Statua dei triumviri, le perplessità del consigliere di opposizione Bianucci
“Lascia perplessi la scelta del Comune di Lucca, assieme alla Fondazione Cassa di Risparmio, di dedicare una statua fuori piazza Anfiteatro all’incontro dei triumviri romani Cesare, Pompeo e…

Trump è l’Ucraina
Quanti saranno stati coloro che hanno immolato la propria vita per seguire un ideale, per combattere la tirannia, il sopruso e l’ingiustizia?

La nostra eredità... sindrome da fascismo
Una decina di anni fa Marcello Veneziani, intellettuale di destra, tenutosi però sempre distante dal carro dei vincitori e mai piegatosi, coerentemente, alla convenienza del momento, ritrovò il testo di una "lettera aperta" dedicata alla figlia allora 13enne, "tacciata" dalla sua insegnante di Italiano, di essere..."figlia di un fascista"!

Regionali, Mercanti si schiera per il Giani - bis e avverte il centrosinistra: "Guai dare per scontata la vittoria"
"La destra è aggressiva, stavolta ha scelto il candidato per tempo e non farà sconti. Ha un obiettivo politico preciso: detoscanizzare la Toscana, snaturarne i valori e l'identità.

Il ministro della cultura Giuli in visita alla casa natale di Giacomo Puccini
Martedì 8 luglio, il ministro della Cultura Alessandro Giuli si è recato in visita al Puccini Museum –…

Roberto Vannacci a Lucca per un convegno sulla sicurezza
Si svolgerà domani giovedì 10 Luglio alle ore 18, presso il baluardo della “casa del Boia”, l’incontro pubblico dedicato al tema ”Nuovi orizzonti della sicurezza sociale: tra realtà…

- Scritto da Redazione
- Politica
- Visite: 707
Abbiamo 'scoperto' e intervistato per primi Roberto Vannacci, nell'estate di due anni fa, abbiamo ripetuto incontri e presentazioni senza mai pentirci né, tantomeno, con qualche esitazione. Mai ci eravamo imbattuti in un personaggio che condividesse in toto o quasi gli stessi valori e i medesimi concetti. Questo generale incursore e individualista era riuscito a sbaragliare il campo dell'ipocrisia dilagante del politicamente corretto con semplicità e anche simpatia, senza sbagliare non solo un congiuntivo, ma nemmeno un imperfetto, che parlava senza inciampare e che si sottoponeva a domande senza alcuna preparazione. Lo hanno massacrato a tutte le latitudini, ma ogni querela, ogni denuncia sono finite nel fango della denigrazione e della maldicenza e lui ne è risorto ogni volta ancora più forte e amato di prima.
Sin dall'inizio della sua avventura politica in molti si sono chiesti e altrettanti si sono domandati perché non dare vita ad un nuovo partito politico, senza accorgersi che una cosa è il dire e l'altra il fare e che, tra i due, c'è di mezzo il mare. Roberto Vannacci non ha mai promesso che lo avrebbe fatto, anzi, ha spiegato la sua adesione alla Lega dall'esterno come una mossa intelligente e importante per non restare isolati. Parallelamente i suoi compagni di viaggio che si erano dati molto da fare per il comitato il mondo al contrario hanno creato un movimento che aspirava a diventare qualcosa di più. Una volta che il generale ha scelto di tesserarsi a tutti gli effetti per il partito di Salvini, hanno interpretato questo passaggio come una sorta di 'tradimento' e, comunque, per un colpo inferto alle loro aspirazioni. Da qui la decisione, annunciata sui social, di allontanarsi da Roberto Vannacci. Ancora prima se ne era già andato un suo commilitone, Fabio Filomeni, che mal aveva digerito la strategia politica del suo amico.
Vannacci, tuttavia, aveva compreso che non si può fondare un partito dall'oggi al domani e che non si può neanche dare vita ad un soggetto politico di cui, una buona fetta, è costituito da ex militari. Il partito non può essere una caserma e le regole che funzionano in chi ha indossato una divisa, per quanto valide e coraggiose, non possono funzionare anche in politica. I militari, brava gente, troppo spesso dimenticano che la società non indossa alcuna divisa e che la loro è soltanto una parte, per di più infinitesimale, di tutto il contesto.
Perché abbandonare, dunque, Roberto Vannacci proprio quando è riuscito, in appena due anni, a raggiungere quello che altri nemmeno vedono in tutta una vita? Eppure lui non ha rinnegato una sola parola di quanto ha detto sin dall'inizio, continua a tenere alta la bandiera dei suoi valori che, a ben vedere, ci accomunano in tanti, non è mai caduto in scandali, non ha mai abbassato la testa e nemmeno la guardia, è sempre disponibile, sta viaggiando in lungo e in largo per questa Italia facendo quello che ogni politico dovrebbe fare e che, perdonateci l'ardire, solamente un altro leader, Giorgio Almirante, era solito fare.
Per questi motivi noi continueremo a sostenerlo, pur senza alcuna tessera di partito - scusateci, ma siamo allergici - Perché crediamo nella sua buona fede e comprendiamo che a volte, in politica, bisogna anche sporcarsi stando vicino a chi sudicio lo è, ma se si vuole cambiare qualcosa non ci sono altri modi. E sudicio o sporco che si voglia Vannacci non lo è né lo è mai stato. E' un uomo tutto d'un pezzo che possiede una semplicità che affascina e che avvicina. Fino a quando sarà come noi lo abbiamo conosciuto, non resterà mai solo.
- Scritto da Redazione
- Politica
- Visite: 293
Fu Benito Mussolini, nel 1937, all'atto dell'inaugurazione degli studios di Cinecittà, a definire la filmografia come la "più potente delle armi". Ovviamente il dittatore, presago e lungimirante, da buon giornalista qual era, immaginava di utilizzare quell'arma come strumento di propaganda esaltando la realizzazione delle opere del regime, rinfocolando il sentimento nazionale ed esaltando l'impero tornato sui Colli Fatali. Negli anni a venire furono molti i film storici che richiamavano l'epopea dell'Urbe. Altri ancora avvincevano gli Italiani con storie romantiche: chi non ricorda i "telefoni bianchi" che venivano utilizzati (anche) come strumento di...distrazione di massa? Sia come sia, la filmografia tricolore conobbe l'apice del successo internazionale con il filone del cosiddetto "Neorealismo", grazie alle pellicole firmate da registi del calibro di Rossellini, De Sica e Visconti. Vennero poi i film di denuncia sociale e quelli "politicizzati", con registi di chiara impronta ideologica, cresciuti ed allevati nella scuola del partito comunista, il movimento che più di tutti aveva saputo esercitare una vera e propria egemonia di stampo culturale. Basterebbe (ri)guardare il film sulla morte di Togliatti in cui si ritraggono scrittori, poeti ed intellettuali mentre si alternano a vegliare il feretro del "Migliore", per rendersene conto. Peccato che tutti quei registi, che pure avevano denunciato i mali del nazifascismo ed il conformismo di potere dei democristiani, non ebbero mai l'ispirazione oppure la curiosità di guardare oltre quella cortina di ferro che divideva l'Occidente libero dal blocco sovietico. All'opposto, molti di quegli " pseudo rivoluzionari " continuarono ad operare a senso unico in ossequioso silenzio verso le nefandezze tragiche e liberticide perpetrate nella patria del socialismo reale. Seppero tacere anche quando i carri armati dell'Armata Rossa invasero e schiacciarono le primavere libertarie in Ungheria e Cecoslovacchia. Viceversa molti loro "capolavori" inneggiarono alle insurrezioni comuniste nel Sud Est asiatico, deprecando come crimini l'intervento dei marines americani e non invece quelli fomentati dai cinesi in Indocina, come Corea, Vietnam del Nord e Cambogia. Insomma: per grandi linee la Storia ci racconta come "l'arma più potente" del cinema sia stata ben utilizzata anche in Italia da un gruppo di registi organici alla sinistra i quali però non hanno mai voluto sottrarsi allo strabismo ed al doppio metro morale che ha sempre connotato gli intellettuali e gli artisti della "gauche" nostrana. Gente con la puzza sotto il naso che, in cachemire, ha affollato i salotti dell'alta società radical chic per intenderci. Ma doveva ancora venire il peggio in questo ramo dell'arte, ossia il finanziamento pubblico delle opere cinematografiche: una sorta di reddito di cittadinanza per la celluloide ed i registi naïf e, sotto sotto, per quelli ovviamente appartenenti alla solita area politica. Non saprei dire quanti siano i contribuenti che sono a conoscenza dell'uso del proprio denaro per sostenere film "originali" e pellicole d'essai (di prova) firmate da sconosciuti registi ed attori, oppure dai compagni di merenda. A loro andrebbe ricordato che la stragrande maggioranza di quei "prodotti", pur finanziati profumatamente, non riesce neanche a raggiungere la proiezione nelle sale cinematografiche e laddove ci riescano, restano pressoché ignorati dal pubblico. Questo lo sa bene anche quel Valter Veltroni che, dismessi i panni del politico, ha indossato quelli del cineasta e del critico cinematografico, così come tanti altri noti attori le cui opere vengono rappresentate solo grazie ai sussidi economici elargiti dallo Stato, a dispetto dei botteghini e delle platee deserte. Ora, il fenomeno è tornato improvvisamente alla ribalta durante la cerimonia dei David di Donatello 2025 trasformatasi da festa del cinema italiano a palcoscenico di tensioni e polemiche politico-istituzionali. Una vera e propria querelle che, via via, si è esacerbata fino a sfociare in una lettera degli artisti nella quale si è chiesto un incontro al governo per discutere del futuro dell'industria cinematografica italiana. In soldoni, si è invocato un nuovo assetto per i crediti e le elargizioni loro dovute (sic!). Che dire? La "cultura" batte cassa ancorché denunci il "regime". Ed allora tra gli artisti e gli accattoni pare non ci sia che un breve passo.