Rubriche
De Bruyne Tentato dal Trasferimento al Napoli tra le Voci di un Addio dalla Premier League
La brillante carriera di Kevin De Bruyne al Manchester City sembra volgere al termine, e la corsa per assicurarsi la sua firma si sta intensificando in tutta Europa.

Dai Tavoli da Poker ai Visori VR: Come Potrebbe Essere il Futuro del Gioco d'Azzardo Online
Il gioco d'azzardo online non è più quello di una volta. Un tempo limitato a siti web desktop essenziali e slot ingombranti, ora si sta rapidamente ramificando in…

Louis-Albert-Guislain Bacler d'Albe: il cartografo segreto di Napoleone
Napoleone Bonaparte non fu solo un genio militare, ma anche un instancabile innovatore. La sua capacità di individuare talenti straordinari e di affidare loro ruoli chiave fu uno…

Fuga da Alcatraz!
Capita praticamente tutti i giorni di ascoltare qualcuno che impreca: “la giustizia in Italia non funziona!”… e come dargli torto? Soprattutto se ci si trova di fronte a…

La cultura dell’informazione rapida e i suoi effetti sulle decisioni quotidiane
Nell’era digitale, la velocità con cui le informazioni viaggiano e raggiungono gli individui è senza precedenti. Smartphone, social network e piattaforme online permettono di accedere a una mole enorme di…

Ne uccide più la lingua che la spada
Donald Trump, Presidente degli USA, rischia l’impeachment per la sua presenza in un club di escort di minorenni; un suo predecessore, Bill Clinton, fu costretto a dimettersi dall’incarico per “eccesso di confidenze” con una sua stagista; di qua dell’oceano, le olgettine di Silvio Berlusconi fecero il giro del mondo...

I referendum, la politica e il gioco dei numeri
È evidente come, da parecchi anni e in tutti i paesi occidentali, gli elettori manifestino una certa disaffezione alla politica e come, questa, si traduca in un’astensione dal voto sempre più importante

Perché sulla Gazzetta di Lucca?
Quando decisi di chiedere al direttore della Gazzetta di Lucca la possibilità di vedere pubblicate le mie riflessioni (chiamarli articoli sarebbe un atto di presunzione) sul suo giornale lo feci per tre motivi

Il milione di Pistoia, e come l'Italia ha sfornato 73 milionari nel 2024
Mentre il fortunato di Pistoia grattava con calma olimpica il suo "Turista per Sempre" nella tabaccheria di via Curtatone e Montanara, probabilmente non immaginava di entrare in una statistica da…

Lettera aperta a Marina Berlusconi
Ho avuto modo di ascoltare, giorni fa, il ministro Tajani durante l’informativa del Governo alla Camera dei deputati, sulle vicende di Gaza e il conseguente dibattito parlamentare...

- Scritto da Redazione
- Rubriche
- Visite: 710
Ci sono epidemie spontanee ed epidemie provocate, per volontà o soltanto per un errore umano. Il Coronavirus mi sembra appartenere alla categoria delle provocate, anche in considerazione del fatto che già che sono state programmate altre epidemie con cadenza annuale: pare che la prossima sia quella del “vaiolo delle scimmie”.
Certo è che tutte hanno presso a poco i medesimi effetti: carestie, aumento del numero dei poveri; indigenti che diventano sempre più miserabili ed i ricchi che diventano sempre più ricchi, per i motivi facili da intuire.
Ho riletto in questi giorni il libro di Rita Mazzei, dal titolo “La società lucchese del Seicento” (Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca 1977), secolo che, come sappiamo, fu colpito dalla tremenda peste del 1630-1631.
Già prima dello scoppio dell’epidemia, l’economia lucchese, viveva un periodo molto critico: l’industria della seta e della lana aveva subito una brusca battuta d’arresto.
Durante il periodo della peste le condizioni di vita si fecero insostenibili. Un anonimo scrive che “i poveri cascavano morti per le strade, più di fame che di peste”. A Lucca “dentro”, dal dicembre del 1630 all’ottobre del 1631, la popolazione era passata da 21.914 abitanti a 13.581: era morta oltre il 40% della popolazione!
Dopo la peste, l'economia lucchese non dava segni di ripresa e “si stava anzi avviando verso una grave depressione che sarebbe giunta a toccare il fondo negli anni centrali del secolo”. Le possibilità si riducevano sempre più mentre il prezzo dei viveri andava aumentando.
Molte erano le azienda ad aver chiuso i battenti e moltissimi i lavoratori avevano perso il posto di lavoro. Ed il posto di lavoro, come si sa, si può perdere sia per cause legate all’avversa congiuntura, e quindi indipendenti dalla volontà del datore, ma a volte, anche dipendenti da essa o dal potere politico.
“I raccolti specie quello delle castagne erano stati compromessi in tutto il territorio lucchese da disastrose gradinate …. il pane diveniva così sempre più caro e più scadente e tutto lasciava presagire una grave carestia”.
Durante l’inverno del 1647-1648, mentre le vie cittadine si riempivano di mendicanti che vivevano alla giornata ed in particolare, di elemosine, stranamente si andavano placando quei malumori e quelle proteste che solitamente caratterizzano un popolo, da anni costretto a subire le violenze del potere, degli eventi e dei tempi.
“Il ceto popolare pur da sempre abituato alle strettezze precipitava in breve in condizioni di vita così inumane da non avere più nemmeno la forza di protestare”.
Chi infatti si trovava ridotto a non poter contare su altra fonte di sussistenza che la carità, evitava di parlare spontaneamente contro quei ricchi da cui ora dipendeva, per un pezzo di pane o per qualche bolognino, la sua sopravvivenza quotidiana. Così con l'inizio dell'estate del 1648 ormai ‘non si hode più certi lamenti del buon governo né certe esagerazioni che si solevano sentire ma ogniuno sta quieto e attende a vivere’”.
Si può soltanto immaginare come può essere infelice quella situazione in cui non si ha la forza né il coraggio di protestare per paura di rendere ancora più pesanti le condizioni di vita proprie e della propria famiglia.
La peste e la successiva miseria avevano reso la popolazione lucchese al pari di un gregge mansueto, rinunciatario, sconfitto.
Proprio come sta succedendo oggi. Pare che il proposito governativo sia quello di moltiplicare la povertà per rendere tutti nella condizione di non poter protestare, per paura di perdere, dopo il lavoro, anche quel po’ di elemosina elargita dai ricchi, grazie alla loro infinita magnanimità.
Giampiero Della Nina
- Scritto da Redazione
- Rubriche
- Visite: 516
Quello che sto per raccontare, a molti sembrerà leggenda e, invece, si tratta di modi di vivere risalenti a non più di 50 anni fa.
Oggi, abituati come sono ad andar a letto dopo il primo “ciao”, e a convivere per anni, con la garanzia che se non va, amici come prima, resta difficile pensare alle tante cerimonie a cui i giovani dovevano sottostare, in attesa di un bacio.
Prima si doveva affrontare il genitore ed ottenere il permesso di frequentare la casa per intrattenersi con la figlia.
Farlo tutte le sere, sarebbe apparso disdicevole e quindi si ponevano delle regole. Generalmente si poteva “andare a dama” nelle sere di martedì, giovedì, sabato e domenica. Questa, però, non era una regola scritta, per cui in alcuni paesi della Lucchesia, si sconsigliava di “andare a dama” nei giorni che contenevano la “erre”: martedì, mercoledì, venerdì; in altri, della Val di Serchio, si diceva che la serata ideale era il sabato, perché di
“Lunedì vanno i furiosi
Martedì i morosi
Mercole i questuanti
Giovedì gli amanti
Venerdì gli stregoni
e soltanto il Sabato, i dami buoni”.
Nelle sere prescritte, il damo dunque si presentava in casa e poteva accomodarsi su una sedia accanto alla sua ragazza che, in ogni caso, continuava a lavorare: faceva la maglia, o ricamava il corredo iniziato da anni, o scuoteva una bottiglia per fare il burro (nelle case di contadini che possedevano la mucca), o sgranava i fagioli, o era intenta ad altre piccole faccende che poteva sbrigare da seduta per non staccarsi troppo dall’uomo con il quale avrebbe dovuto spartire la vita.
I baci erano severamente vietati, ma veniva consentito ai dami di parlare fra loro a voce bassa: conversazione non censurabile dalla madre che, a pochi passi, non poteva staccare gli occhi da quei due. Rientrava fra i suoi compiti, quello di “far lume” e cioè vigilare affinché non succedesse il peggio, perché
“…du' ragassacci riscaldati
è sempre ben tienilli sorvegliati
dalla punta der piédi alla manina…”
come consigliava Custer De Nobili, il nostro massimo poeta dialettale.
Nelle “sortite”, la vigilanza dei dami era affidata solitamente al ragazzino di casa o ad una parente prossima.
I “lumi” si tenevano ad una distanza “di rispetto” dai fidanzati, con la precisa consegna di non perderli mai di vista. Eludere la sorveglianza, era certo più difficile quando di guardia montava la mamma, mentre con il ragazzino, le cose erano facilitate, essendo un soggetto corruttibile.
Questo, con un soldo, come riferisce Tullio Bianchini, “… andava a piglia' un fiasco d'acqua in Campitelli per beve la magnesia e tornava dopo mezz'ora”.
In ogni caso il compito di “far lume” era delicato e difficile per tutti. Ecco come Gianbattista Santini, testimonia le lamentazioni di una madre garfagnina che racconta quando e perché sua figlia rimase incinta:
Fu di certo una sera che gnevava...
E io, che stevo sempre a orecchi dritti,
quaa sera evo sonno, e m'addormitti...
Succedevano anche di queste cose ed era un disonore per la famiglia della ragazza, costretta, quando andava bene a distribuire confetti “bucati”.