A poco più di un anno dall’inaugurazione dopo i lavori di restyling, il Palazzo Guinigi si conferma polo culturale di grande attrattività, che guarda con grande interesse non solo alla ricchezza dell’arte locale, ma anche a quella nazionale e sovranazionale: il 18 luglio aprirà infatti una grande retrospettiva dell’artista Antonio Bueno. Fortemente voluta dall’assessorato alla cultura del Comune di Lucca, la mostra, con oltre novanta opere, consentirà a tutti i visitatori di entrare in contatto con il profondo e articolato percorso artistico e umano di Bueno. Un progetto prodotto dall'Associazione Culturale Bueno, in collaborazione con AG Art Gallery di Alessandro Giusti. La mostra curata da Maria Isabella Bueno, figlia dell'artista, e da Stefano Sbarbaro rientra nella programmazione di Vivi Lucca Eventi 2025 ed è patrocinata dalla Regione Toscana, dalla Provincia di Lucca e dal Comune di Lucca; si avvale dei contributi di Propilei Immobiliare, Banca Cambiano e Orler Gallerie D'Arte.
Attraverso un percorso di oltre novanta opere provenienti di importanti musei nazionali e prestigiose collezioni private e partendo dal nucleo cospicuo di lavori di proprietà degli eredi dell’artista che mettono inoltre a disposizione un ricco florilegio di foto e di documenti in parte inediti, la mostra prende in esame tutta la produzione di Antonio Bueno approfondendone i passaggi più significativi, i cambi di direzione e le evoluzioni stilistiche. Nelle sale al terzo piano di Palazzo Guinigi si dipana così un lungo e imprevedibile periplo creativo che intende mettere in evidenza quell’unità profonda e quella matrice generativa da cui si sviluppano traiettorie coerenti e costanti, che procedono lungo un progressivo raffinamento formale fondato sull’equilibrio di linee pure e forme essenziali. Il progetto espositivo ripercorre dunque il sorprendente e imprevedibile cammino artistico di Antonio Bueno, figura originale e centrale nel clima artistico della seconda metà del Novecento che proprio per la sua versatilità ed ecclettismo può considerarsi un precursore per certi versi delle tensioni e delle contraddizioni dell’estetica postmoderna. Il gusto per la citazione e la parodia con cui l’artista celebra ironicamente gli stili del passato unito alla capacità di ibridare cultura alta e popolare, ne fanno un pittore di grande modernità che oggi è possibile rivalutare appieno proprio nella complessità del suo percorso. Con questa mostra non si intende soltanto rendere omaggio a un protagonista della storia contemporanea dello stile e del gusto in Italia, ma si vuole riaffermare l’attualità della sua eredità artistica. In un’epoca dominata dall’urgenza della novità e dall’estetica della provocazione, Antonio Bueno ha saputo fare della pittura figurativa uno strumento di resistenza culturale: un linguaggio consapevole, ironico e colto, capace di interrogare il presente senza cedere all’effimero. La sua opera, libera dalle mode eppure profondamente radicata nel suo tempo, continua a parlare al nostro sguardo contemporaneo con sorprendente freschezza e lucidità.
Nel panorama dell’arte italiana del secondo dopoguerra, Antonio Bueno (Berlino, 1918 – Fiesole, 1984) rappresenta una figura singolare e fuori dagli schemi, dal percorso imprevedibile e sfuggente, capace di confrontarsi con le correnti del proprio tempo senza però lasciarsi travolgere dai linguaggi e dagli imperativi delle avanguardie. Pittore colto e raffinato distante dalle mode e dai conformismi artistici, Bueno ha condotto la sua traiettoria spesso in termini dissonanti lungo una linea evolutiva apparentemente eccentrica, ma sempre lucida e coerente. Lontano tanto dalle posture ideologiche quanto dalle retoriche dell’innovazione e della sperimentazione a tutti i costi, Bueno riscrive lungo la sua carriera la storia dell’arte per frammenti, citazioni ed ironiche parodie.
Giunto in Italia da Parigi nel 1940 assieme al fratello Xavier, anche lui pittore, dimostra fin dagli esordi fiorentini durante gli anni della guerra un’assoluta abilità tecnica e una conoscenza approfondita della tradizione pittorica e degli antichi maestri, che ha modo di studiare attraverso il rapporto diretto con i capolavori e le testimonianze artistiche conservate nelle chiese e nei musei del capoluogo toscano. Influenzato dal fratello maggiore, più incline a celebrare le proprie origini spagnole, dimostra dapprima un certo interesse verso la lezione seicentesca di Velázquez e di Zurbarán che ben presto muta in favore di una visione cromatica più oggettiva e lenticolare, ispirata dai fiamminghi e dalla pittura rinascimentale italiana.
A partire degli anni Cinquanta, dopo la chiusura della controversa e anti-avanguardista vicenda dei Pittori Moderni della Realtà condivisa assieme al fratello e ai pittori Gregorio Sciltian e Pietro Annigoni, Antonio intraprende un percorso di affrancamento stilistico in cui emergono le ascendenze dechirichiane reinterpretate in termini personali in una fortunata produzione neometafisica caratterizzata da composizione limpide e terse in cui l’artista rappresenta su fondali dalle campiture piatte e omogenee iconiche pipe in gesso, ricorrenti nell’intera produzione di Bueno, sospese su esili ed essenziali strutture prospettiche. La luce abbacinante e zenitale di questi dipinti rievoca le atmosfere assolute di Piero della Francesca citato apertamente attraverso la presenza di uova, simbolo geometrico naturale di armonia e di equilibrio formale.
Negli anni Sessanta, Antonio Bueno visse un periodo di intensa e irrequieta sperimentazione cercando la collaborazione con altri artisti e partecipando attivamente alla nascita di gruppi e di movimenti. Tra il 1959 e il 1962 si dedica ai monocromi, utilizzando una particolare tecnica ad impronta con tamponi di spugna, punto di massima distanza dalla estetica figurativa che l’artista comunque non arriverà mai a rinnegare. Questa fase circoscritta è un momento di rinnovamento della sua produzione che culmina in un’occasionale collaborazione con Scheggi e Manzoni nella prima mostra italiana di pittura monocromatica. Nel 1959 fonda, con Loffredo, Berti, Nativi, Ricci e Moretti il gruppo Nuova Figurazione, con cui promuovere l’avanguardia fiorentina, sostenuto da critici come Giulio Carlo Argan. Nel 1963 è tra i fondatori del Gruppo 70, esperienza di carattere neodadaista orientata a una ricerca artistica transdisciplinare e multimediale ispirata alla cultura di massa, in dialogo con la pop art e influenzata dai linguaggi pubblicitari e fumettistici. Emblematica di questo periodo è Preistoria Contemporanea, una sorta di fondale scenico utilizzato in occasione di spettacoli, performance e happening del gruppo, un’opera fruibile ma che non si può possedere, con cui Antonio Bueno formula una critica aperta alle contraddizioni delle moderne avanguardie rompendo il legame tra arte e collezionismo borghese.
Alla fine degli anni Sessanta, Antonio Bueno abbandona polemicamente le sperimentazioni avanguardiste per ritornare ad una forma di figurazione ironicamente pompieristica che lui stesso definisce neo-kitsch o di neo-retroguardia. Negli ultimi vent’anni della sua carriera, anche grazie a un grande successo di mercato, il suo repertorio si definisci ulteriormente rendendosi riconoscibile attraverso soggetti iconici come dame, toreri e bambini vistiti da marinaretti. Un’icastica galleria di personaggi perturbanti che l’artista reitera con disarmante spirito di invenzione, declinati in pose prevalentemente frontali e talvolta di profilo a mezzobusto o in piano americano per i formati più grandi. Figure silenziose dai volumi semplificati, deformati e tondeggianti, i cui sguardi ingenui e infantili sono portatori di sensazioni ambigue e stranianti. Accanto a questa produzione si sviluppa sul medesimo registro stilistico la serie dei celebri d’après che reinterpreta con raffinata ironia i grandi maestri del passato come Ingres, da lui considerato un punto di riferimento assieme a de Chirico, Leonardo, Caravaggio, Picasso e Klee, scegliendo tra i loro dipinti quelli maggiormente sedimentati nell’immaginario collettivo. Negli ultimi anni di vita Antonio Bueno riceve importanti riconoscimenti: la sua città lo celebra ancora un’ultima volta nel 1981 con una mostra antologica nella prestigiosa sede di Palazzo Strozzi, e nel 1984, nell’anno della scomparsa, alla Biennale di Venezia trionfano i suoi ultimi e irriverenti d’après che sono da considerarsi come l’apice della sua maturità artistica.
Biografia dell’artista
Antonio Bueno nasce a Berlino nel 1918 da Hannah Rosianskaja e dal giornalista scrittore spagnolo Javier Bueno, corrispondente del quotidiano ‘ABC’ di Madrid. Dopo l’infanzia trascorsa in Spagna si trasferisce con la famiglia a Ginevra, frequentando il liceo e l’Accademia di Belle Arti ed esponendo a venti anni al ‘Salon des Jeunes’ di Parigi. Nel gennaio del '40 arriva a Firenze assieme al fratello Xavier, città dove rimarranno entrambi per tutta la vita. Agli inizi il suo stile è influenzato dal Rinascimento fiorentino e dai fiamminghi e la sua pittura è molto realistica e finita; successivamente si allontana dal realismo per sperimentare altre correnti ed altri stili: iniziando dall’astrattismo in collaborazione con Numero, rivista d'avanguardia di Fiamma Vigo, approda a visioni metafisiche mediante composizioni di pipe di gesso e gusci d’uovo (nel 1958 mostre a New York, Los Angeles e San Francisco). Negli anni Sessanta Bueno sarà tra i protagonisti e promotori dei movimenti della avanguardia fiorentina, come il Gruppo Settanta, sperimentando diverse tecniche espressive, quali arte-spettacolo e audio-pittura. Dal 1969 torna definitivamente alla figurazione, dando vita ad una iconografia particolare di volti femminili, di marinaretti e di toreri, soggetti che continueranno negli anni fino alla ultima stagione dei d’après. E proprio nel pieno di quella fortunata fase creativa, l'artista muore a Fiesole il 26 settembre 1984.